Sì a Frontex: per Schengen e la libertà di movimento
Alla votazione su Frontex-Schengen la posta in gioco per il nostro settore è alta. Andreas Züllig spiega perché il Sì il 15 maggio è essenziale.
Alla votazione su Frontex-Schengen del 15 maggio la posta in gioco è alta sia per il ramo ricettivo che per il turismo. Se vincesse il No, si rischierebbero difficoltà di approvvigionamento e l’esclusione automatica della Svizzera dall’area Schengen. Al solo comparto turistico ciò costerebbe più di mezzo miliardo di franchi all’anno. Andreas Züllig, presidente di HotellerieSuisse e padrone di casa dello Schweizerhof Lenzerheide, spiega perché il Sì è essenziale per il ramo.
Dal 2008 la Svizzera fa parte dello spazio europeo Schengen e dell’Accordo di Dublino ad esso connesso. Entrambe le convenzioni rientrano nei cosiddetti Accordi bilaterali II. La Svizzera beneficia così dell’abolizione dei controlli alle frontiere, ormai divenuta la norma in Europa, della libera circolazione nel continente, dello spazio comune per i visti e della cooperazione in materia di sicurezza e di asilo. Schengen è un successo per la Svizzera. Ora, però, la votazione del 15 maggio sulla partecipazione della Svizzera allo sviluppo di Frontex, l’Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera, rischia di porre fine a questa storia di successo.
Mantenere l’Accordo di Schengen
A prima vista, la votazione referendaria del 15 maggio riguarda un aumento relativamente modesto del contributo svizzero a Frontex, pari a circa 37 milioni di franchi. In questo modo si intende sostenere i Paesi che garantiscono le frontiere esterne comuni europee e ricevono i rifugiati in arrivo. La Svizzera partecipa già oggi a Frontex con risorse finanziarie e personale, perché la protezione delle frontiere esterne europee riguarda in ultima analisi anche i nostri confini nazionali. La votazione non riguarda però solo il contributo della Svizzera a Frontex. Il No avrebbe ulteriori conseguenze: «Il No a Frontex è automaticamente un No a Schengen», afferma Andreas Züllig, padrone di casa dello Schweizerhof Lenzerheide e presidente di HotellerieSuisse. L’albergatore si riferisce al meccanismo di disdetta dell’Accordo di Schengen tra la Svizzera e l’UE, che in caso di vittoria del No a Frontex verrebbe attivato automaticamente.
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Il turismo ha bisogno di Schengen
La pandemia di coronavirus ci ha mostrato quanto sia faticoso essere controllati ogni volta che si varca il confine europeo e non poter più recarsi nei paesi europei per una gita spontanea o per una vacanza pianificata da tempo. Senza l’Accordo di Schengen, la Svizzera diventerà un’isola di visti, poiché i turisti e le turiste provenienti dai principali mercati lontani avrebbero bisogno di un visto a parte per entrare. Alcuni studi quantificano le perdite per il ramo ricettivo e turistico in oltre mezzo miliardo di franchi all’anno. Per Andreas Züllig ciò rappresenta un pericolo per l’intero settore: «Il turismo è ancora alle prese con le conseguenze della crisi da coronavirus e si sta lentamente riprendendo. L’esclusione dallo spazio Schengen peserebbe su questa ripresa.» A ciò si aggiungerebbe la necessità di reintrodurre anche i controlli alle frontiere, poiché la Svizzera verrebbe di nuovo considerata una frontiera esterna dell’UE. «Per la nostra clientela – anche quella dei mercati vicini – ciò vorrebbe dire burocrazia di movimento, non libertà di movimento», afferma l’albergatore. Per le aziende si aggiunge il rischio latente di subire ritardi nelle consegne di merci deperibili o a causa dei controlli alle frontiere.
Nel quadro dei già difficili negoziati con Bruxelles, la Svizzera avrebbe bisogno della volontà unanime di tutti i paesi europei per poter scongiurare questo automatismo giuridico o almeno per poter votare ancora una volta. «Si tratta di uno scenario molto improbabile, sul quale non è possibile costruire una pianificazione seria», afferma Andreas Züllig.
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Anche la sicurezza e la politica europea sono interessate
Un elemento fondamentale dell’Accordo di Schengen è anche la cooperazione transfrontaliera tra le forze di polizia. Grazie al sistema di ricerca a livello europeo, la lotta alla criminalità è diventata più efficiente anche in Svizzera. Secondo i dati della polizia federale, nel 2019 questa banca dati ha fornito al nostro paese 21'000 segnalazioni di ricerca, ovvero circa 57 casi al giorno! Rifiutando di contribuire a Frontex la Svizzera rischierebbe anche questo. Nel medio periodo, il No a Frontex bloccherebbe ulteriormente la già difficile politica europea della Svizzera. Se dopo il No si verificasse l’atteso blocco della politica europea svizzera, diventerebbe anche più difficile reclutare nell’UE il personale qualificato urgentemente necessario.
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HotellerieSuisse dice Sì a Frontex
La situazione di partenza è paragonabile all’adozione della Direttiva sulle armi nel 2019. Il fattore scatenante è cambiato, ma le argomentazioni, le conseguenze e la preoccupazione sono le stesse. Per questo motivo il comitato esecutivo di HotellerieSuisse ha deciso con convinzione di sostenere il Sì anche in occasione della votazione su Frontex-Schengen. La bocciatura del referendum e la conseguente perdita automatica dell’Accordo di Schengen, con tutte le conseguenze del caso, colpirebbero al cuore il settore ricettivo e turistico. Ciò sarebbe un colpo mortale per il nostro ramo, già fiaccato dalla crisi dovuta al coronavirus. Per questo, il comitato turistico, composto dalle principali associazioni del ramo, si impegna attivamente a favore del Sì al progetto.